19 Marzo 2024
Gli inventori

L'armata di Poggio Adorno

(di Giancarlo Andreanini)

Per rendere attivo il suo progetto il Marchese mise a disposizione di Narciso e dei suoi collaboratori un capannone sulle colline di Poggio Adorno, proprio dietro la sua villa di famiglia. Lo spazio interno era impegnato da banconi di legno disposti a ferro di cavallo rispetto al volume interno. All’inizio ed alla fine di questa “U” vi erano due scivoli sui quali i telai montati salivano e le auto complete scendevano. Non vi erano rulli, tapis-roulant o nastri trasportatori, non vi erano robot, gru o sol levatori, ma solo le braccia di Narciso, Aimone, Riccardo, Ivano che spingevano lentamente quei telai, con motore, con freni, con batterie... ed ultimo con le carrozzerie.

All’esterno c’erano i boschi e nelle strade che li attraversavano venivano fatte le prove di autonomia: da Poggio Adorno fino alle Vedute, poi Galleno, Staffoli e di nuovo Poggio Adorno.

Qualche volta non funzionavano i freni, si appoggiavano le vetture agli argini per frenarle, qualche volta “fumava” il motore ed il ritorno a piedi era quindi assicurato.

Era veramente un lavoro diverso, condiviso con persone speciali. Narciso l’inventore e il meccanico, il Marchese inventore fantasioso e mecenate, Aimone e Riccardo meccanici, l’ingegner Martini, l’ingegner Micheletti, il disegnatore Landi.

Landi sembrava veramente un personaggio uscito dalle righe dell’Antologia di Spoon River: alto, magrissimo, piegato dall’artrosi, con le dita delle mani ossute e deformate, preciso, ordinato quasi maniacale, vispo e ironico, giovanile nella voce e nello sguardo intelligente, ottimo disegnatore tecnico. Si recava a lavoro con una FIAT 1100 R che si rifiutava di superare i 50 km/h: l’aveva abituata così. Aveva sempre qualcosa da raccontare di quando lavorava come disegnatore alla Piaggio, di quando era con la fabbrica sfollata a Biella, di quando Rinaldo Piaggio aveva dato l’ordine di distruggere il prototipo della Vespa perché la riteneva orribile.
L’ingegner Martini, che era piemontese o forse tedesco, ma sicuramente era una persona particolare, dotato di un’intelligenza geniale, fuori dagli schemi, al limite della follia, dote si dice necessaria per gli inventori, un uomo capace di stare tre giorni senza mangiare e poi farlo con quantità di cibo spropositate. Ogni tanto arrivava dalle langhe torinesi con una moto enorme, un Harley-Davidson, che era la sua seconda passione.

I ritmi di lavoro dell’Urbanina erano molto variabili, la produzione vera e propria si alternava ai momenti di studio e di ricerca, di prove, di confronti tra idee diverse. Spesso capitava di non fare niente per tanti motivi, perché mancavano i telai o le batterie o altri particolari importanti. Ma in alcuni periodi l’attività diventava frenetica e questi momenti coincidevano con l’avvicinarsi delle date di apertura della Fiera di Milano e del Salone dell’automobile di Torino.

Capitava come in tutti gli atelier o gli studi teatrali del mondo all’approssimarsi della prima della mostra o della commedia: un crescendo verso il parossismo assoluto. La “segheria” si riempiva di persone che lavoravano senza interruzione per quindici, venti ore, mangiavano sul posto, dormivano in auto. A partecipare a questa battaglia contro il tempo venivano chiamate tutte quelle persone che avevano un qualsiasi collegamento con quel progetto, con quel posto, con le persone che abitualmente vi erano impegnate e naturalmente vi capitavano elementi che con la meccanica o con la tecnica non avevano niente da spartire.

Aimone e Riccardo non erano certamente estranei a quel tipo di lavoro perché erano provetti meccanici ma in quei periodi venivano strappati dal loro abituale lavoro e costretti ad abbandonare i propri clienti.

Potevi trovare Vasco il falegname, la cui capacità professionale in quel contesto veniva poco valorizzata, ma che aveva sempre qualche aneddoto da raccontare soprattutto a riguardo della sua convinta e professata fede comunista, genuina e sincera. Poi Mario, l’autista personale del Marchese, Lamberto il cuoco estroso e tuttofare sempre dipendente del Marchese, il ragioniere Turini amministratore e amico di famiglia, qualche operaio prestato da Vitaliano, la servitù della villa e tanti altri a costruire una specie di armata Brancaleone.
Ma quanta vitalità e voglia di fare, quanta allegria, quanto spirito di gruppo in quelle persone elette costruttori improvvisati di automobili. Le auto venivano puntualmente completate e come per miracolo prendevano posto nei padiglioni della Fiera o del Salone.

A questo proposito, uno dei progettisti della Urbanina raccontava:

“ In occasione del montaggio di alcune vetture per il Salone di Torino commettemmo un errore. Una delle vetture che Narciso aveva deciso di portare al salone era un prototipo, ovvero il primo esemplare di vettura con diverso assetto della meccanica, soprattutto diversa nelle sospensioni e nel gruppo propulsore. Era stata disegnata nella parte meccanica dall’Ing. Martini ed alcuni componenti furono consegnati dalle ditte fornitrici poco prima dell’apertura del Salone. Alla vigilia della sua apertura fu completato l’assemblaggio di tutti i componenti e per ultimo fu montato il sistema sterzante. A mezzanotte provammo la vettura e subito ci accorgemmo che sterzava al contrario ovvero girando il volante a destra la vettura girava a sinistra. Ma non c’era più tempo per le modifiche e la vettura fu lo stesso inviata a Torino.

La preoccupazione era quella che qualche visitatore del salone notasse questa anomalia azionando il volante, ma il Marchese ebbe un’idea magnifica e per evitare questo tipo di curiosità sollecitò nei visitatori una curiosità più forte collocando una magnifica ragazza, molto svestita, al posto di guida. Nessuno si accorse del difetto perché chi si avvicinava vedeva solo quella ragazza ed il suo sorriso
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